Lenire i dolori, togliere il malocchio, buon umore in tavola…


Albanella, domenica 10 dicembre 2017

Il Cilento, la terra per eccellenza in cui ha radici la Dieta Mediterranea, inizia ad essere conosciuto in tutto il mondo per la qualità dei suoi prodotti, il profumo e il “colore” locale, che è anche “calore” dato dall’accoglienza della gente del posto. Persone semplici come Umberto e sua moglie che ci introducono nella loro casa per mostrarci la fragranza e gli usi dell’olio extravergine d’oliva, un ingrediente base per la preparazione di ricette e piatti legati alla tradizione.

Scopriamo insieme le proprietà e gli antichi usi dell’olio d’oliva non solo in cucina ma per la preparazione di unguenti e rituali di giovamento sia per il corpo che per lo spirito.

E come dice nonna Antonietta “cu’ l’uogliu sciriì i ruluri, ngi fai l’uocchi e ngi cunzi pur à mnestra”.

Lenire i dolori

Nel Cilento e in particolare in alcune famiglie della piccola comunità di Albanella, soprattutto in tempi antichi venivano attribuite all’olio proprietà curative. Erano gli uomini o le donne più anziane che si occupavano di preparare unguenti per lenire dolori reumatici e muscolari. Si preparavano dei piccoli contenitori di vetro o terracotta con all’interno dei peperoncini amari, che potevano essere tagliati a pezzi o immersi per intero nell’olio facendovi prima una piccola incisione sulla punta. Il composto veniva lasciato macerare dai 15 ai 45 giorni e liberato dai residui, filtrandolo con un panno di lino, veniva usato per massaggiare la parte dolorante. Alcuni solevano riporre il barattolino contenente l’olio sulle soglie del camino o sui piani di cottura in pietra qualche minuto prima di effettuare il massaggio. L’olio risultava così caldo e piacevole al tatto ma il massaggiatore doveva stare attento a non strofinarsi gli occhi! Non in tutte le famiglie ovviamente si usava questa pratica ma è certo che il calore alleviasse molte sensazioni di malessere unite ai benefici apportati dalle proprietà emollienti dell’olio. Molti cilentani si ricorderanno anche la “grasta”, una tegola arancione da tetto che veniva fatta riscaldare nel fuoco, avvolta in stracci prima e poi messa nel letto per scaldare le lenzuola o su una parte dolorante per trarne giovamento. Un sistema semplice e naturale per alleviare i dolori similmente all’olio. Vivo nella mente il ricordo di lenzuola bucate, bruciacchiate o macchiate di olio al peperoncino di una vecchia zia di Castel San Lorenzo. Pericolosi o meno, accreditati oppure no dalla scienza, questi metodi erano in uso e sembravano funzionare.

Togliere il malocchio

Si usava l’olio anche nei riti per scongiurare il malocchio e proprio dalla forma e dall’aspetto di quest’ultimo si poteva stabilire sia la gravità che il sesso della persona che aveva causato il malessere. Le varianti di questa pratica dipendono generalmente dalle zone del Cilento in cui ci si trova e dalle abitudini dei cosiddetti “guaritori” o semplicemente persone capaci di contrastare il malocchio. In cosa consisteva e consiste questa pratica? Solitamente il soggetto che pensa di essere stato colpito dal malocchio, lamenta dolori di vario genere e si rivolge a un anziano per chiedergli aiuto. Il guaritore riempie un piatto fondo d’acqua e inizia a fare più volte il segno della croce sia sul piatto che verso la fronte della persona che si è rivolta a lui; mentre traccia i segni della croce ripete mentalmente o comunque sottovoce le parole segrete previste dal rito. Dopo che ha terminato traccia su sé stesso, sempre per tre volte il segno della croce e, toccando i bordi del piatto, esegue ancora il segno della croce ripetendo le altre parole segrete previste dal rito per tre volte. Terminata questa procedura è possibile ottenere una risposta. Si versano nel piatto alcune gocce di olio di oliva, man mano che le gocce cadono nell’acqua si osservano: se l’olio si allarga la diagnosi è malocchio; può succedere che l’olio addirittura sembri scomparire, in tal caso significa che la persona è stata colpita da malocchio già da diverso tempo e sarà più difficile da trattare, se invece l’olio si allarga poco vuol dire che la “maledizione” è nelle prime fasi, piuttosto leggera e, conseguentemente, scomparirà più facilmente.

Nel caso che l’olio resti a galla normalmente vuol dire che la persona non è stata colpita da malocchio e la cosa finisce lì. Se la persona invece ha il malocchio si deve gettare via l’acqua in un luogo dove si ritiene che nessuno passi, altrimenti vi potrebbe essere la trasmissione del malessere a chi la calpesta.

Dopo aver gettato l’acqua si deve ripetere nuovamente il rito per altre due volte; già la seconda volta gli “occhi” che compaiono nell’olio dovrebbero essere più piccoli, mentre alla terza volte non dovrebbe esserci più niente. Se gli “occhi” compaiono anche durante la terza ripetizione del rito, significa che il malocchio trasmesso è piuttosto forte ed è necessario seguire una determinata procedura; si “tagliano” gli “occhi” con le forbici e si ripete il rito il giorno dopo. Preferibilmente il rito andrebbe ripetuto da persone diverse, una dopo l’altra. È importante che, una volta iniziato il rito contro il malocchio, esso non venga mai interrotto.

I guaritori cilentani pesano che sia possibile vedere se chi ha fatto il malocchio sia una donna o un uomo ma questo dipende da come si presentano le gocce dell’olio: se le gocce hanno accanto piccoli cerchietti allora il malocchio è di responsabilità di una donna o più donne; se invece le gocce sono normali la responsabilità è da attribuirsi a uno o più uomini. Se entrambe le tipologie di gocce sono presenti allora la responsabilità è da ricercarsi in più persone di sesso diverso fra loro.

Se il rito è stato svolto correttamente, la persona colpita dal malocchio comincia a sentirsi subito meglio. E solitamente il mal di testa o il senso di nausea passano all’istante. E così ancora oggi per alcuni giovani cilentani legati alle tradizioni sembra essere più efficace farsi fare gli occhi da un nonno che prendere un farmaco. Peccato che con il passare degli anni, con la perdita degli anziani, si vadano perdendo tante conoscenze, un vero patrimonio non solo del Cilento ma della comunità intera.

Buon umore in tavola

“Condire la minestra” questa era la funzione principale dell’olio per nonna Antonietta, “per esaltarne il sapore e stare tutti contenti”. Infatti, in un periodo di estrema povertà, nelle case di campagna del Cilento, il pane, l’olio e la minestra erano gli ingredienti che non mancavano mai. Innanzitutto perché anche le famiglie più umili possedevano un fazzoletto di terra ereditato dagli avi, in cui era piantato qualche ulivo. Si coltivava e si prendeva dalla terra ciò che si poteva e soprattutto le donne andavano in giro a cercare cicoria, minestra, cardi o altre piante ritenute commestibili. Si passavano ore in cucina a lavare e pulire la verdura e poi a sera tutti riuniti intorno al fuoco era il tempo di gustare la minestra condita con un giallo-verde profumato olio extra-vergine d’oliva.

Oltre che il buon umore in tavola di ieri e di oggi, l’olio extravergine d’oliva apporta reali benefici alla salute: è ricco di acidi grassi monoinsaturi; le sue proprietà antiossidanti hanno la capacità di abbattere il colesterolo cattivo, favorendo nel contempo l’incremento di quello buono; aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari e l’arteriosclerosi; riduce il tasso di zucchero nel sangue e aumenta la secrezione della bile. Si tratta di un elemento utile a tutti, in tutte le età. Molto usato per lo svezzamento dei bambini perché ritenuto altamente digeribile e utile per la mineralizzazione delle ossa e per lo sviluppo del cervello.

Non resta che riconoscere nell’olio d’oliva uno degli elementi cardine della Dieta Mediterranea a cui il biologo statunitense Ancel Keys, dedicò numerosi studi proprio nel Cilento riscoprendo una tradizione antichissima che vede l’olio protagonista della vita rurale cilentana, dei racconti popolari e dei riti scaramantici.

 

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