Il fascino intramontabile di un borgo antico "fantasma", nel cuore del Cilento


lunedì, 28 maggio 2018

Esiste un luogo, incastonato nel lembo dell’entroterra della provincia di Salerno, dove il sole filtra, ma filtra nelle pieghe dei vicoli, dove il vento soffia ma non c’è nessuno ad ascoltare il proprio impercettibile suono. Esiste un luogo, che non è solo luogo dell’anima, ma è luogo fisico e tangibile, di terra, polvere e aria: è Roscigno Vecchia, anche detta Pompei del Novecento, perché incastonata in una dimensione sacrale, fuori dal tempo e dallo spazio, imbalsamata in un passato che non può più tornare, avvolta dalla solitudine e dalla nostalgia.

La storia del paese è tanto affascinante quanto suggestiva, e nel ripercorrere il racconto del suo abbandono e dei suoi tratti caratteristici, si rimane ammaliati nel rendersi conto delle vicissitudini del borgo fantasma. La storia di frane e alluvioni di Roscigno è nota a tutti gli abitanti dei paesi limitrofi, che nel corso dei secoli hanno sempre osservato la riedificazione progressiva del cosiddetto “paese che cammina” (appellativo che Roscigno si è conquistato per via della sua mobilità): è stato riedificato e ricostruito per ben tre volte, nel corso del 1600 e del 1700. Nel 1776, nella zona interessata dalla frana in località “Molinello”, si formò un piccolo laghetto a causa della forte depressione del terreno, il signore Mazzeo Francesco pensò di tuffarsi per misurarne la profondità, ma si persero le sue tracce per ben otto giorni, dopo dei quali venne ritrovato il suo cadavere.
Roscigno Vecchia, ad oggi è disabitata per via dei pericoli dati appunto dalle diverse frane, e la popolazione negli anni è migrata a Roscigno Nuova: il centro storico di Roscigno Vecchia cominciò a svuotarsi attorno al 1902 per via di ordinanze da parte del genio civile (la legge speciale n. 301 del 7 luglio 1902 e la legge n. 445 del 9 luglio 1908).

Eppure un unico, rivoluzionario abitante resiste ancora: Giuseppe Spagnuolo. È l’unico abitante del borgo fantasma, e addomestica la sua solitudine vivendo in un paese che si nutre di aria e nostalgia: fa da cicerone ai visitatori che si addentrano nei meandri del borgo, racconta loro storie di un’epoca morta e svela quei segreti che solo il vento conosce. Qualcuno diceva che la solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno, ma forse è anche un’estrema forma di libertà. Se ci si vuole concedere un’escursione a contatto non solo con i fantasmi di un borgo, ma con quelli della propria psiche, una visita a questo paese è l’ideale.

Se l’entroterra cilentano fosse un volto, Roscigno Vecchia sarebbe la ruga che lo solca.

Monica Acito