Antichi miti del Cilento


giovedì, 5 luglio 2018

Sono sprazzi di miti e leggende arcaiche, quelle che incorniciano il volto di Palinuro, il suo capo e l’acqua che lo lambisce: anche Virgilio ha posato il suo sguardo su Palinuro, oltre ad aver cantato di divinità, condottieri ed eroi fondatori di città, campi coltivati e carmi bucolici.

Il sorriso di Palinurus percorre i libri V e VI dell’Eneide, il massimo poema epico in esametri dattilici della letteratura latina, e il suo mito aleggia tra le pagine, dispiegandosi in tutta la sua bellezza suggestiva. “Nunc me fluctus habet versantque in litore venti” è il  verso che apre la triste storia del nocchiero di Enea, che cadde nelle acque scure di notte, ingannato dal dio Sonno, mentre traghettava la sua flotta verso l’Italia, dove Enea avrebbe fondato la degna città che avrebbe dato i natali al princeps, al puer cantato da Virgilio, l’imperatore Ottaviano Augusto, di cui l’eroe troiano sarebbe stato l’ideale speculum in cui riflettere il mos maiorum. Caduto in mare, Palinuro sarebbe rimasto per tre giorni in balia dei flutti e delle correnti, invocando invano il nome dei propri compagni, ormai sordi e con gli orecchie foderati di cera come Odisseo che non voleva udire il canto ammaliatore delle sirene. Il punto in cui Palinuro si sarebbe perduto, inghiottito dai flutti, corrisponderebbe, secondo la descrizione dell’Eneide, al tratto di costa campano del Mar Tirreno, tra l’insenatura di Pisciotta e il golfo di Policastro, proprio di fronte all’omonimo capo Palinuro. L’Auster, vento australe che spira da sud, (e tradotto con Noto dall’Eneide), condurrà Palinuro sulle spiagge italiche dove andrà incontro a un destino nefasto, lo stesso fato oscuro a cui era andato incontro un altro personaggio virgiliano (protagonista però di uno dei libri delle Georgiche e non dell’Eneide), Orfeo che venne fatto a pezzi dalle baccanti e ridotto in mille brandelli di carne. Palinuro, approdato sulla terraferma, verrà catturato dagli abitanti del luogo, ucciso e rigettato in mare, alla stregua di un mostro marino di cui sbarazzarsi. La profezia di Nettuno, che aveva dato a Venere il proprio beneplacito a trarre in salvo la flotta di Enea in cambio di una vittima, s’era avverata: Unum pro multis dabitur caput. “Caput” sta a significare il capo di Palinuro, il suo capo sacrificale da vittima immolata per la salvezza di Enea e della sua gente. Nel libro VI, il protagonista sarà il soffio dello spirito tormentato di Palinuro, che incontrerà Enea durante la sua famosa discesa nell’Ade, in compagnia della Sibilla Cumana: chiederà all’eroe di dare degna sepoltura al suo corpo gettato in mare e rapito dalle onde, affinché la sua tomba non fosse più il mare ignoto e scuro ma la terra materna e accogliente. Lo scongiura di ritrovare il suo corpo e restituirlo alla terra, ma la Sibillina rivelerà che il corpo di Palinuro non verrà mai più ritrovato. La straziante vicenda della mancata sepoltura di Palinuro verrà ripresa anche da Dante nella Divina Commedia, nel canto VI del Purgatorio, quando Palinuro chiede a Virgilio, ormai in un’ottica non più pagana ma sublimata a un senso di allegoria cristiana  e medievale, del rapporto tra preghiere dei vivi e richieste di suffragi da parte delle anime purganti; anche lo scrittore Howard Phillips Lovecraft, nel suo racconto “La Tomba”, lo menzionerà, così come Tommaso Moro nella sua “Utopia”, che ne farà l’emblema del viaggiatore distratto. L’omonimo capo di Palinuro, è il simulacro di pietra della storia del nocchiero di Enea, e sta a simboleggiare emblematicamente questo borgo che è la frazione maggiore di Centola.
Alcuni scavi effettuati in località S.Paolo negli anni Cinquanta, evidenziarono il suo legame con un’arcaica necropoli risalente al VI secolo a.C., con arredi funerari e inumazioni, nonché una moneta con l’effigie di un cinghiale in corsa. Non sono presenti, in ogni caso, tracce che porterebbero all’epoca romana, ma dell’occupazione normanna e saracena sì, con conseguenti danni. Famosissima, anzi, un’istituzione ormai, per le sue attrattive balneari, Palinuro può fregiarsi dell’Arco Naturale (scelta come location in vari film, tra cui “Gli Argonauti 2”, “Scontro tra Titani”, “Ercole alla conquista di Atlantide”) e della Spiaggia delle Saline; Capo Palinuro compare invece in “Noi credevamo”, film di Martone sul brigantaggio. Grotte marine e sottomarine, qualità dell’acqua purissima e cristallina (insignita della Bandiera Blu da anni, ormai), atmosfera mitica e ancestrale, fanno di Palinuro uno scrigno di sensazioni leggendarie, profumi e storie che non smetteranno mai di tessere la loro affascinante tela. Palinuro non è il canto di un cigno destinato a morire, ma quello di un nocchiero che voleva essere salvato ma rimase inghiottito dall’acqua, e forse, se si porge con attenzione l’orecchio, si può ancora sentire la sua voce che vaga tra i flutti e un tramonto.

Monica Acito